venerdì 27 giugno 2008

DELFINOTERAPIA



Oltre ai vissuti legati alla mitologia e al fantastico dell’uomo, alcuni dati biologici possono essere utili per capire in che modo si sviluppano le interazioni tra esseri umani e delfini. Già le origini di questi animali acquatici sono molto particolari. Sappiamo che la vita che si è sviluppata sulla terra ha avuto origine negli oceani. I delfini, però, come gli altri cetacei, hanno avuto un’ evoluzione particolare: dopo essere diventati mammiferi terrestri, circa 50 milioni di anni fa hanno scelto di ritornare al mare, riadattandosi alla vita acquatica. Il fatto di essere mammiferi è quindi un dato di base che li avvicina all’uomo più di ogni altra creatura acquatica. Il cervello del delfino è tra i più simili a quello dell’uomo per peso, sviluppo della corteccia e connessioni tra i due emisferi.
Purtroppo in Italia non è semplice entrare in contatto con questi fantastici animali.
Le nostre strutture (Acquario di Genova, Delfinario di Rimini e Riserva naturale dell’Isola di Caprera) sono attrezzate solo per spettacoli ed osservazioni guidate non partecipanti.
Infatti, nel nostro Paese non è praticata la Delfinoterapia, tecnica particolare di Pet-Therapy che richiede la partecipazione dei delfini, animali imprevedibili, sensibili e, anche perché mammiferi, che riescono a “comunicare” come pochi altri con l’uomo…
I delfini sono abilissimi a "cogliere" i diversi atteggiamenti dei ragazzi problematici, a captare le loro emozioni, gli stati d'animo, hanno una sensibilità estrema e una dolcezza rara, a condizione che si sentano liberi di fare quello che gli suggerisce l'istinto e che non gli s’imponga nulla con la forza.
L’intelligenza, infine, li avvicina all’uomo più della maggior parte delle specie animali.
E’ sorprendente osservare un delfino che comunica con l’uomo.
Luis Herman, psicologo americano, è riuscito ad insegnare ad alcuni delfini un linguaggio fatto di gesti e suoni. I delfini hanno appreso oltre 50 “parole”, indicanti sia oggetti, sia azioni. E si sono dimostrati anche in grado di comprendere la struttura della frase : ad esempio, sebbene le parole usate siano le stesse, capiscono la differenza tra “metti la tavola sopra il cerchio” e “metti il cerchio sopra la tavola” e si comportano di conseguenza.
E’ questa intelligenza che permette loro di analizzare e coordinare le informazioni ricevute dall’ambiente e di elaborare strategie di risposta adeguate anche in situazioni non comuni, come quella dell’incontro con l’uomo.
Questa capacità dei delfini di interpretare dati nuovi e di agire di conseguenza, può spiegare l’impressione che essi capiscano l’umore delle persone con cui entrano in rapporto. Chi si è immerso con loro, li descrive capaci di stare “sulla stessa lunghezza d’onda”: timidi e distanti con chi ha timore, giocosi con chi è più attivo, tranquilli con chi è rilassato.
La delfinoterapia è una tecnica efficace nel trattamento di gravi disagi psichici (autismo, sindrome di down, anoressia, attacchi di panico) grazie ad un insieme di fattori come l’immersione nell’acqua, il contatto fisico e lo scambio giocoso con gli animali.
L’immersione nell’acqua è di per sé‚ una esperienza particolare, per il legame concreto e simbolico che ha con le origini stesse della vita. Inoltre l’acqua salata aiuta a sciogliere alcune rigidezze corporee che spesso corrispondono a blocchi emotivi, fornisce un sostegno che facilita l’equilibrio, la fluidità del movimento e le sensazioni di rilassamento che ne derivano, il flusso dell’acqua, infine, offre una stimolazione tattile che migliora la percezione del proprio corpo.
La presenza dei delfini sembra moltiplicare gli effetti positivi del contatto con l’acqua. Tutte le testimonianze raccolte indicano che l’incontro con queste creature è un’esperienza eccezionale, profondamente coinvolgente a livello psichico.
Con il suo aspetto “sorridente”, i suoi movimenti fluidi, il suo istintivo rispetto per lo spazio interpersonale (che fa sì che non si avvicini mai troppo a chi mostra timore) il delfino viene costantemente percepito amichevole e meno minaccioso o giudicante degli esseri umani. Nello stesso tempo offre gratificanti opportunità di scambio, basate sul gioco e sul contatto fisico, che portano la comunicazione a un livello accettabile anche per le persone più chiuse in se stesse. Il gioco con un delfino, inoltre, non è mai monotono o ripetitivo, la grande intelligenza di questi animali li rende capaci di inventare “trucchi” sempre nuovi e, a quanto pare, adeguati alle circostanze, tanto da riuscire a volte a spezzare anche le stereotipie di persone, come quelle autistiche, che sembrano imprigionate in una gabbia di comportamenti ripetitivi.
In diverse occasioni si è verificato che le donne in stato di gravidanza sembrano attrarre particolarmente l’attenzione dei delfini, che esaminano ripetutamente il loro addome con gli ultrasuoni. Per quanto concerne la vita sociale dei delfini essa è improntata ad una grande solidarietà che a volte viene trasferita anche all’uomo. Quando un delfino è ammalato o ferito non viene abbandonato. Al contrario, gli altri lo guidano e lo sostengono.
I delfini, come altri animali, ci offrono molto. Deve essere quindi nostro impegno ricambiarli sforzandoci di garantire loro le migliori condizioni di vita.


http://www.ciaopet.com/risorseSottoSezioneH.asp?IDSottoSezione=294


http://labs.unicatt.it/studenti/margani/la_delfinoterapia.htm

giovedì 26 giugno 2008

PROBLEMI PSICHIATRICI : CAUSATI DA BATTERI E VIRUS ?



Mente&Cervello, luglio 2008, n. 43

Infezioni e reazioni immunitarie sono sotto il microscopio dei ricercatori: virus e batteri potrebbero essere legate alla schizofrenia e ad altri gravi disturbi del sistema nervoso. Di Melinda Wenner

La schizofrenia è una malattia devastante. L'uno per cento della popolazione
mondiale soffre dei suoi sintomi: allucinazioni, psicosi, riduzione delle abilità cognitive. È una malattia che distrugge i rapporti umani e rende impossibile, per molti di coloro che ne soffrono, mantenere un lavoro. Ma quale può essere la causa di un danno così tremendo al cervello? Secondo una crescente mole di ricerche, potrebbe esserci un colpevole sorprendente: l'influenza. Se siete scettici, non siete i soli. Eppure diversi studi hanno collegato la schizofrenia all'infezione prenatale da parte di virus influenzali e altri microbi, mostrando che i figli delle madri colpite in gravidanza da queste infezioni avrebbero una più alta probabilità di una diagnosi di schizofrenia nel corso della loro vita. Nel 2006 un gruppo di ricerca della Columbia University ha affermato che fino a un caso di schizofrenia su cinque sarebbe causato da infezioni prenatali. I medici sanno da molti anni che microbi come quello della sifilide e batteri come lo streptococco possono, in mancanza di cure, condurre a seri problemi psichiatrici. Oggi un numero sempre maggiore di scienziati sostiene che i microrganismi siano responsabili di diverse malattie mentali che in precedenza si riteneva fossero causate da un difetto neurologico o psicologico. Le prove più forti riguardano la schizofrenia, ma anche l'autismo, il disturbo bipolare e il disturbo ossessivo- compulsivo sono stati collegati a infezioni batteriche, virali o da parassiti, in utero, nell'infanzia o durante la maturità. Alcune di queste infezioni possono colpire direttamente il cervello, mentre altre possono scatenare reazioni immunitarie che interferiscono con lo
sviluppo del cervello, o persino attaccarne le cellule per un errore del sistema immunitario. Man mano che gli scienziati dipanano il legame tra infezioni e disturbi psichiatrici cominciano anche a presagire il momento in cui si aprirà la porta su un nuovo mondo di misure preventive. Nei casi più ovvi, un semplice vaccino o un regime di farmaci antimicrobici potrebbe liberare il corpo dall'infezione prima che questa possa danneggiare il cervello. E se il responsabile è il sistema immunitario potremmo riuscire a sviluppare farmaci capaci di bloccare gli effetti della risposta immunitaria nel cervello. La conclusione, in definitiva, è che più sappiamo sulle complesse radici delle malattie mentali e meglio potremo combatterle.
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Pazzi_per_contagio/1332512


C'è un'interessante teoria introdotta nel 1986 da Shrii Sarkar : la teoria della Microvita che in una serie di discorsi ha sostenuto che gli elementi basilari della vita sono le microvite, emanazioni di pura coscienza, portando così una rivoluzione concettuale alla base stessa delle teorie fisiche e biologiche. Ci sono varie forme di microvite e le più grossolane corrispondono ai virus (per approfondire visita questo sito: http://www.apnu.net/sarkar.html

La Teoria delle microvite crea un legame fra il mondo della percezione e quello della concezione: approfondendo le loro ricerche in questo senso, le varie discipline della fisica, della biologia e della matematica si fonderanno in un'unica scienza per comprendere la reale natura dell'universo.

martedì 24 giugno 2008

IL PENSIERO : TIMONE DI MALATTIA E GUARIGIONE




"Vi racconto come il pensiero può farvi ammalare o guarire"



Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.
C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero. Primo caso: «Ho in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di tubercolosi. Io lo chiamo danno biologico primario». Secondo caso: «Un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock carismatico». Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro».
Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet), già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti. Quando si attivano, producono ormoni cerebrali. Questa si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione. Io e lei siamo due esperimenti biologici che datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde. Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana - altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello - e studiare».

Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia».
Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce».
Com’è possibile?
«Ci ho scritto 100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress».
Diciamo una scienza inesatta.
«L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura, come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse: “Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina, ragazzi, non illudiamoci».
Torniamo al cervello.
«Sto aspettando di diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili. E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno muovere».

Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello.
«Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione».
E graziaddio avete smesso con le lobotomie.
«A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro».
Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria.
«Aveva còlto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali - la serotonina, la dopamina, le endorfine - ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le citochine?».
Sì e no.
«Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia?».
La ascolto.
«Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma».
Effetto placebo degli spilloni.
«Paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo».
Esemplifichi.
«Donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?».
Prego.
«Colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni, ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico».
Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni premonitori.
«Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era nel posto indicato».
I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?
«Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di’ alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».
Come si mantiene in buona salute il cervello?
«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S’è iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia».
Sappiamo tutto del cervello?
«Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia».
Allora come fa una legge dello Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui coscienza sappiamo poco, forse nulla?
«Siccome si muove per stimoli elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa che il cervello non è più attivo».
Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale?
«Mi fermo... Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico».
Prima del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva.
«Eh, lo so... La morte cerebrale consente di recuperare gli organi per i trapianti».

Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute?
«Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita».
(414. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=269071

lunedì 16 giugno 2008

LA MUSICA E IL CUORE - GIOVANNI ALLEVI

Perchè Allevi piace così tanto ai giovani?
Secondo me perchè sa suscitare sensazioni nuove, tocca il cuore, è come se ti risvegliassi da un torpore e ti sentissi scuotere.
Perchè lui e la musica sono la stessa cosa, è immerso, identico dentro e fuori. L'ha addomesticata !
I giovani vogliono la verita e lui è sincero, e la musica si fa addomesticare solo da chi è vero e da chi la ama profondamente.

... è stato ricoverato per un "attacco di gioia" ....


Giovanni Allevi, compositore e pianista, rielabora la tradizione classica europea aprendola alle nuove tendenze pop e contemporanee. La sua crescita artistica inarrestabile , al di là delle ristrette categorie musicali, lo porterà ad esibirsi nel 2005 sul palco del tempio mondiale del Jazz: il Blue Note di New York, dove registra due strepitosi sold-out.
La critica nazionale ed internazionale lo definiscono "il genio italiano del pianoforte", "il Mozart del 2000", decretando Giovanni Allevi portavoce nel mondo della nuova creatività musicale italiana. Qui un suo scritto .


6 marzo 2005

Già dall'aereo ho cominciato a sognare. La professione, la passione per la musica hanno scatenato in me la convizione che nella vita nulla sia scontato. Questo viaggio verso New York ha dell'incredibile anche nelle cose che mi circondano, come l'oggetto enorme che si libra nell'aria a 10 mila metri e che silenzioso mi sta portando verso il palco del Blue Note, come l'ottimo vino spumante che l'Alitalia mi ha servito.

Ho preso anche l'abitudine di ringraziare Dio per tutte le cose belle che mi vengono incontro: la stupenda forma delle nuvole viste da sopra, le persone che mi vogliono bene e quelle che in America hanno deciso di darmi l'Opportunità.

Ora sono nel camerino, nel Blue Note: piccolo, stile anni settanta. Qui dove sono io, hanno atteso nervosamente Miles Davis, la Fitzgerald, Ellington, e i moderni. Nel camerino siamo utti uguali, seri e in silenzio, sospesi nel tempo, pronti a fare il salto nel buio. Mi guardo allo specchio, sono un capellone, coperto di maglioni e guanti di lana, anche se non fa freddo. C'è anche la mia immancabile fetta di torta al cioccolato che chiedo sempre prima dei concerti.

Penso e mi dico, per farmi coraggio, che sono un cavaliere Jedi, un temerario: il pianoforte solo, nel mondo del jazz, fa paura.
Devi veramente avere qualcosa da dire, da gridare, da sbriciolare con funambolica follia , altrimenti qui ti uccidono.
Il fatto è che io devo farli secchi tutti.

Mi dico sorridendo, che non ho fatto 9000 chilometri per sollazzarli , ma voglio stregarli, perchè dalla mia ho nelle dita Listz, Chopin, Ravel, Rachmaninov, cioè una storia pianistica europea che gli americani non posseggono. Voglio prenderli allo stomaco, alla pancia, sulla pelle... suonare talmente piano da costringerli a trattenere il fiato ,e poi voglio essere totalmente me stesso , libero di volare su quei tasti senza pensare di ricevere niente in cambio, nè un applauso, nè il consenso.

Si sono stupiti che non abbia portato con me dei CD da vendere. Io vendere? No , non me la sono sentita. E' il concerto più importante della mia vita, è per me un evento unico, irripetibile di poesia e di sogno : voglio che la gente vada via di qui solo con il ricordo del concerto. Non è questo il momento di vendere, ma di darsi totalmente , con tutta la passione, di accarezzare i tasti del pianoforte e attraverso quelli , accarezzare l'anima di chi mi ascolta, entrare nel suo cuore, nel suo respiro.

Ora sono davanti al pianoforte. E' il mio amico, lo riconosco, ma mi pone sempre una sfida, mi chiede sempre il massimo dell'onestà, della trasparenza, della forza.

Cerco la parfezione. Il segreto sta nell'intenzione con cui si suonano le note, e nella pulsazione ritmica che le ordina: questi 2 elementi riescono a scuotere l'anima. Ho un cerotto sul polpastrello medio della sinsitra che ancora mi fa male, ma sono talmente concentrato che non sento niente.
Le dita vanno veloci, il cuore batte, sono piegato in avanti e i miei lunghi riccioli quasi toccano la tastiera.


Chiudo gli occhi. C'è il buio : il tatto e l'emozione diventano predominanti. Non penso. Se pensi sei fregato perchè diventi spettatore esterno della musica , una macchina. Certe volte quando ho paura, sono costretto a farlo, per mantenere il controllo , ma subito torno nel buio calmo del non pensare: è come accoccolarsi sotto una coperta.

L'ultima nota dopo un'ora e mezza è uscita insieme a una lacrima: avevo compiuto la mia impresa, vera per me, storica, sempre e solo per me, forse, spero anche per gli altri ascoltatori. Commosso e fiero , perchè ancora una volta, venti anni di studi di sacrifici, di sudore e calli sulle dita, di esami, hanno potuto esprimersi.

Mi hanno detto che hanno respirato con me, che addirittura seguivano il movimento ondeggiante e lento della mia scheina, mi hanno detto che ho una bella schiena, flessibile. Molti hanno lasciato l'hamburger freddo sul piatto. Mi hanno amato, i sognatori , che si cullavano nel mare di musica con gli occhi chiusi e le mani strette sulle guance, mi hanno amato, cercato, fotografato, mi hanno lasciato pensieri d'amore, di emozione, di entusiasmo.
Ma io non mi sono accorto di nulla, preso dal senso di colpa per i miei limiti, e la paura di non aver fatto tutto alla perfezione...va bene così.

Evviva il sogno, evviva la passione che ti porta lontano, evviva la vita, questa dono immenso: basta rompere un pò le regole, abbandonarsi al suo stupefacente fluire. Evviva l'amore con le sue delusioni con la sua ebbrezza, tutto nelle mie dita sul piano.

Grazie Dio, per aver consentito al timido pianista italiano di sfidare, solo col pianoforte , il Blue Note di new York, una luminosa domenica di marzo.

http://www.giovanniallevi.it/sito/scritti.html

domenica 15 giugno 2008

52 MILIONI DI RISATE




52 milioni di persone hanno cliccato questo video su Youtube !

Lo Yoga ci dice che tutto è gioia , l'universo è impregnato di beatitudine e chi meglio dei bambini sa esserne convinto testimonial ?




VIDEO RILASSANTE














I vantaggi di una buona capacità di rilassamento sono i innumerevoli: miglioramento della qualità del sonno, recupero più veloce dopo uno sforzo fisico o intellettuale intenso, riduzione progressiva del nervosismo, maggiore resistenza all’ansia, agli shock emotivi, e in una certa misura, perfino alle malattie. Insomma, ce n’è abbastanza per cominciare subito. Il rilassamento è l’anticamera degli stati di coscienza alterati, in cui si diventa più ricettivi e si entra in contatto con gli strati inconsci della psiche, si immagina, si intuisce… Una volta raggiunto questo stadio diventa possibile mettere in opera una serie di procedure che aiutano a migliorare la vita.




sabato 14 giugno 2008

MEDITAZIONE A SCUOLA

ARTICOLO DEL NEW YORK TIMES
In the Classroom, a New Focus on Quieting the Mind

OAKLAND, California, June 12 —

Theodore Rigby for The New York Times


The lesson began with the striking of a Tibetan singing bowl to induce mindful awareness.

A student holds an instrument used in mindfulness techniques.
With the sound of their new school bell, the fifth graders at Piedmont Avenue Elementary School here closed their eyes and focused on their breathing, as they tried to imagine “loving kindness” on the playground.
“I was losing at baseball and I was about to throw a bat,” Alex Menton, 11, reported to his classmates the next day. “The mindfulness really helped.”
As summer looms, students at dozens of schools across the country are trying hard to be in the present moment. This is what is known as mindfulness training, in which stress-reducing techniques drawn from Buddhist meditation are wedged between reading and spelling tests.
Mindfulness, while common in hospitals, corporations, professional sports and even prisons, is relatively new in the education of squirming children. But a small but growing number of schools in places like Oakland and Lancaster, Pa., are slowly embracing the concept — as they did yoga five years ago — and institutions, like the psychology department at Stanford University and the Mindfulness Awareness Research Center at the University of California, Los Angeles, are trying to measure the effects.
During a five-week pilot program at Piedmont Avenue Elementary, Miss Megan, the “mindful” coach, visited every classroom twice a week, leading 15 minute sessions on how to have “gentle breaths and still bodies.” The sound of the Tibetan bowl reverberated at the start and finish of each lesson.
The techniques, among them focused breathing and concentrating on a single object, are loosely adapted from the work of Jon Kabat-Zinn, the molecular biologist who pioneered the secular use of mindfulness at the University of Massachusetts in 1979 to help medical patients cope with chronic pain, anxiety and depression. Susan Kaiser Greenland, the founder of the InnerKids Foundation, which trains schoolchildren and teachers in the Los Angeles area, calls mindfulness “the new ABC’s — learning and leading a balanced life.”
At Stanford, the psychology department is assessing the feasibility of teaching mindfulness to families. “Parents and teachers tell kids 100 times a day to pay attention,” said Philippe R. Goldin, a researcher. “But we never teach them how.”
The experiment at Piedmont, whose student body is roughly 65 percent black, 18 percent Latino and includes a large number of immigrants, is financed by Park Day School, a nearby private school (prompting one teacher to grumble that it was “Cloud Nine-groovy-hippie-liberals bringing ‘enlightenment’ to inner city schools”).
But Angela Haick, the principal of Piedmont Avenue, said she was inspired to try it after observing a class at a local middle school.
“If we can help children slow down and think,” Dr. Haick said, “they have the answers within themselves.”
It seemed alternately loved and ignored, as students in Ms. Graham’s fifth-grade class tried to pay attention to their breath, a calming technique that lasted 20 seconds. Then their coach asked them to “cultivate compassion” by reflecting on their emotions before lashing out at someone on the playground.
Tyran Williams defined mindfulness as “not hitting someone in the mouth.”
“He doesn’t know what to do with his energy,” his mother, Towana Thomas, said at a session for parents. “But one day after school he told me, ‘I’m taking a moment.’ If it works in a child’s mind — with so much going on — there must be something to it.”
Asked their reactions to the sounds of the singing bowl, Yvette Solito, a third grader, wrote that it made her feel “calm, like something on Oprah.” Her classmate Corey Jackson wrote that “it feels like when a bird cracks open its shell.”
Dr. Amy Saltzman, a physician in Palo Alto, Calif., who started the Association for Mindfulness in Education three years ago, thinks of mindfulness education as “talk yoga.” Practitioners tend to use sticky-mat buzzwords like “being present” and “cultivating compassion,” while avoiding anything spiritual.
Dr. Saltzman, co-director of the mindfulness study at Stanford, said the initial findings showed increased control of attention and “less negative internal chatter — what one girl described as ‘the gossip inside my head: I’m stupid, I’m fat or I’m going to fail math,’ ” Dr. Saltzman said.
A recent study of teenagers by Kaiser Permanente in San Jose, Calif., found that meditation techniques helped improve mood disorders, depression, and self-harming behaviors like anorexia and bulimia.
Dr. Susan L. Smalley, a professor of psychiatry at U.C.L.A. and director of the Mindful Awareness Research Center there, which is studying the effects on schoolchildren, said one 4-year-old noticed her mother succumbing to road rage while stuck in traffic. “She said, ‘Mommy, Mommy, you have to sing the breathing song,’ ” Dr. Smalley said.
Although some students take naturally to mindfulness, it is “not a magic bullet,” said Diana Winston, the director of mindfulness education at the U.C.L.A. center. She said the research thus far was “inconclusive” about how effective mindfulness was for children who suffered from trauma-related disorders, for example. It is “a slow process,” Ms. Winston added. “Just because kids sit and listen to the bell doesn’t necessarily mean they’ll be more kind.”
Glenn Heuser, who teaches a combined fourth- and fifth-grade class at Piedmont, said one student started crying about a dead grandparent and another over melted lip balm. “It tapped into a very emotional space for them,” Mr. Heuser said. “They struggled with, ‘Is it O.K. to go there?’ ”
Although mindful education may seem like a New Yorker caricature of West Coast life, the school district with possibly the best experience has been Lancaster, Pa., where mindfulness is taught in 25 classes a week at eight schools. The district has a substantial poverty rate, with 75 percent of students qualifying for free lunch.
Midge Kinder, a yoga teacher, and her husband, Rick, started the program six years ago at George Ross Elementary, where their daughter Wynne taught.
Camille Hopkins, the principal, said initially she was skeptical. Growing up in South Philadelphia, “I was never told to take an elevator breath”— a way of breathing in stages, taught in yoga — “or hear the signals of chimes to cool down,” Ms. Hopkins said.
But the stresses today are greater, she conceded, particularly on students who lived with the threat of violence. “A lot of things we watched on TV are part of their everyday life,” she said. “It’s ‘Did you know so-and-so got shot over the weekend.’ ”
In after-school detention, children are asked to “check in with their feelings,” Ms. Hopkins said. “How are you really changing behavior if they’re just sitting there?”
Yolanda Steel, a second-grade teacher at Piedmont, said she was hopeful that the training would help an attention-deficit generation better manage a barrage of stimuli, including PlayStations and text messages. “American children are overstimulated,” Ms. Steel said. “Some have difficulty even closing their eyes.”
But she noted that some students tapped pencils and drummed on desks instead of closing their eyes and listening to the bell. “The premise is nice,” Ms. Steel concluded. “But mindfulness can’t do it all.”

http://www.nytimes.com/2007/06/16/us/16mindful.html?_r=1&ex=1182916800&en=3063580761a636f5&ei=5070&emc=eta1&oref=slogin

venerdì 13 giugno 2008

LA FAME NEL MONDO





Ma la fame nel mondo non si batte col foie gras ( fegato di anatra)

di Mario Giordano 03 giugno 2008


È da sessant’anni che c’è la Fao. È da sessant’anni che la Fao organizza i vertici. E nel frattempo la fame nel mondo non solo non è stata sconfitta, ma ci pende oggi sulla testa come una drammatica emergenza. E allora, con tutto il rispetto dei delegati, delle conferenze, delle cene di gala e della doverosa ospitalità italiana, forse è venuto il momento di chiederci seriamente se questi vertici servono a qualcosa.
Forse è venuto il momento di chiederci anche se la Fao serve a qualcosa. Oltre che, naturalmente, a mantenere schiere di burocrati.Su un bilancio di 784 milioni di dollari quelli che l'organizzazione internazionale destina direttamente a sfamare gli affamati sono 90 milioni: meno del 12 per cento.
Il resto sono studi, viaggi, spese di funzionamento. Per carità, magari è tutto importantissimo. Ma perché, allora, non è mai servito a nulla? Diciamolo seriamente, per il rispetto che dobbiamo ai bambini che muoiono di fame: dal 1948 a oggi, la Fao ha inciso sul problema dell'alimentazione come uno starnuto incide sull'inclinazione dell'asse terrestre.
Che cosa ha ottenuto? Risultati pochini. Parlare di fame nel mondo tra brasati al barolo e aragosta in vinaigrette, dibattere di denutrizione con la pancia piena di risotto all'arancia e filetto d'oca, ma come si fa?
Durante una delle ultime edizioni dei vertici, la delegazione del Kenya venne intercettata a fare shopping di scarpe e vestiti in via Condotti. La delegazione cinese, invece, si era stanziata all'Hotel Parco dei Principi. Il capo si era fatto riservare la stanza da 3500 euro a notte: trecento metri quadrati, salotto, stoviglie d'argento, arazzi pregiati, maxischermo Tv e grande bagno con vasca Jacuzzi.
Gli unici che hanno tratto beneficio dall'organizzazione, in questi anni sono i suoi dipendenti. Non sono pochi: 3500. Di questi 1.600 sono dirigenti. Ma voi l'affidereste un incarico importante a una struttura che ha un dirigente ogni due dipendenti?
Nemmeno l'esercito della via Pal contava così pochi soldati semplici. E dire che, a essere soldati semplici, non c'è molto da recriminare: un nuovo assunto alla Fao guadagna come minimo 61mila euro l'anno, una segretaria può arrivare a 73mila. E in più benefit di ogni genere, compresi i corsi di yoga, il tai-chi, la danza del ventre e l'aromaterapia, tecnica evidentemente molto utile per risolvere il problema dell'alimentazione planetaria.
«Ma che state a Fao?», si chiedono ormai in molti. Il direttore dell'organizzazione è in carica dal 1994. Anno dopo anno si ritrova ad ammettere «abbiamo fallito», «la fame nel mondo non si riduce», «non abbiamo scuse». Eppure resta lì, abbarbicato alla sua poltrona. Appena nominato aveva lanciato la parola d'ordine: meno dipendenti. E i dipendenti sono subito aumentati. Poi annunciò: basta funzionari negli uffici, voglio più gente sul campo. E infatti il 70 per cento dei dipendenti sta ancora a Roma…
Adesso Diouf ha anticipato al Financial Times le sue richieste: vuole più soldi. D'accordo. Ma più soldi per fare che? Per finanziare gli stipendi di altre pasciute segretarie? Per permettere altri viaggi lussuosi alle delegazioni? Il problema della fame è troppo serio, troppo urgente, troppo vero per essere sepolto sotto un mare di parole, qualche carta e il solito via vai di camerieri che offrono aperitivi e foie gras.
E allora, forse, il modo migliore per celebrare il grande appuntamento internazionale è chiedersi se ha ancora un senso. Pare che il documento base, che sarà presentato oggi alla conferenza, darà la colpa della fame nel mondo al riscaldamento globale. Vi pare assurdo?

Ai vertici della Fao c'è sempre stata molta attenzione alla temperatura.

Soprattutto a quella dello champagne.


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Anche la disciplina Yoga si occupa di equilibri sociali ed ecologia e la nostra salute psico-fisica individuale è sempre inscindibile dall'equilibrio planetario.
Una società più giusta , un'etica profonda che guidi i veri leader , una spiritualità che unisca e non divida, sono caratteristiche che l'umanità chiede per poter procedere verso una vita migliore.